Il Rossini del bel canto e della buona tavola

Il Rossini del bel canto e della buona tavola

Pare che la fama di bon vivant fosse un tratto caratteristico della personalità del compositore pesarese, il quale già in tenera età si era fatto chierichetto per assaggiare il vino contenuto nelle ampolle eucaristiche.

Nato il 29 febbraio 1792, di Rossini restano opere uniche, dallo stile originale e brioso: se si ascoltano bene i ritmi frenetici delle sue partiture e le parti di bel canto, è facile intuire lo spirito giocoso e ironico che questo personaggio riversava in tutti gli ambiti della vita, cucina compresa. Il compositore era un grande estimatore del tartufo, che spesso si faceva mandare da Acqualagna: lui stesso mise a punto la ricetta di una particolare insalata a base di mostarda, olio, aceto, limone, pepe, sale e tartufo grattugiato, ma fu anche il creatore dei Maccheroni alla Rossini, un piatto da forno estremamente elaborato che prevedeva l’utilizzo di “terre del Vesuvio”, ovvero degli speciali tegami provenienti da Napoli.

Rossini visse per la maggior parte a Parigi, ma i prodotti genuini e caserecci italiani rimasero sempre la sua passione. Famosa la lettera all’amico Antonio Busca in cui si commuoveva per aver ricevuto due stracchini, oltre al suo amore per il tacchino ripieno e per il gorgonzola. Una sua ricetta originale, a tutt’oggi riproposta, erano i Tournedos alla Rossini, dei gustosi filetti di manzo farciti con burro, foie gras e tartufo nero.

A un estimatore curioso, colpito dalla sua giovialità, lui stesso disse che in vita sua aveva pianto solo tre volte: «quando mi fischiarono la prima opera, quando sentii suonare Paganini e quando mi cadde in acqua, durante una gita in barca, un tacchino farcito ai tartufi.» Ma la migliore testimonianza è contenuta in un brano che riportiamo qui sotto per intero per celebrare oggi la ricorrenza della sua nascita, e che ci testimonia quanto la passione per l’arte culinaria abbia arricchito di valore la sua esperienza artistica:

«Dopo il non far nulla io non conosco occupazione per me più deliziosa del mangiare, mangiare come si deve, intendiamoci. L’appetito è per lo stomaco ciò che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il maestro di cappella che governa ed aziona la grande orchestra delle passioni. Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto o il piccolo flauto in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia; al contrario lo stomaco pieno è il triangolo del piacere oppure i cembali della gioia. Quanto all’amore, lo considero la prima donna per eccellenza, la diva che canta nel cervello cavatine di cui l’orecchio s’inebria ed il cuore viene rapito. Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo.»

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2017-09-06T09:48:09+02:0029 Febbraio 2016|

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